Il fallito sbarco alla Baia dei Porci. Il discorso del Che all’ONU nel 1964. Uno schiaffo al colonialismo, al razzismo, all’imperialismo. Un atto di guerriglia. Sovversione e ribellione. I tupamaoros. White man’s burden nel cesso della storia. Vi battiamo perché siamo più furbi, e vi freghiamo, e siamo anche più bravi. Argentina – Inghilterra del 1986, quarti di finale del secondo mondiale messicano, è la vendetta calcistica su secoli di oppressione bianca ed europea, wasp ed imperialista.
Le isole Malvinas
C’è un film su Maradona di Marco Risi. Prima di scendere in campo, il Pibe de oro arringa i suoi compagni come fosse Fidel Castro. E gli dice:
Dobbiamo vincere perché siamo i più forti, per l’Argentina, ma soprattuo per le Malvinas!
Escono così dagli spogliatoi animati da autentico furore politico.
Ora, giusto per precisare, la guerra delle Malvinas, o delle Falkland che dir si voglia, viene lanciata nel 1982 dagli stronzissimi assassini della giunta militare argentina. Questi criminali erano fra i migliori amici dei governi occidentali (nonché fornitori di grano dell’Unione Sovietica). La fine della loro infame dittatura fu anche accelerata dall’esito della guerra. Aggiungo che le Malvinas sono delle isole sperdute nell’Atlantico che interessano a nessuno se non a chi ci vive. E inoltre, che non ho nessuna passione per il nazionalismo. Detto questo: che c’entra la sovranità britannica con le Malvinas?
Argentina, cioè Maradona
Sulla panchina dell’Argentina c’è Carlos Bilardo, centrocampista del terribile e violento Estudiantes, tre volte campione del Sudamerica, fine anni sessanta. Tecnico astuto e capace, sceglie gli uomini in maniera accorta a bada poco ai fronzoli. Squadra arcigna la sua Argentina, un 3-5-2 con tre difensori centrali, e poco spazio allo spettacolo.
E’ un gruppo di onesti operai del pallone. Qualche ottimo giocatore come Valdano, Burruchaga, Batista. Poi, un genio immenso, il più grande di sempre, nei suoi anni migliori, all’apice di quegli anni, nel suo giorno perfetto. Se lo vedete correre sul campo, nel caldo primo pomeriggio dei 2500 metri di Città del Messico, vi chiederete se essere umano avrebbe mai potuto fermalo. Probabilmente no. L’albiceleste, caricata sulle spalle, porterà a Baires il suo secondo titolo mondiale in appena otto anni. Un risarcimento dovuto, dopo tanto patire.
Diego, atto primo
La partita è tutta in due azioni di Maradona. Ci sono altre delizie di Dieguito sparse nei novanta minuti. C’è un Inghilterra che si sveglia dopo il due zero, preme l’Argentina e sfiora il pareggio. Perde rammaricandosi di non aver iniziato a giocare a calcio prima, ma che importa.
Al cinquantunesimo Maradona si avventa verso Shilton, palla alta che sta per finire nelle mani del portiere. Maradona alza il pugno sinistro chiuso al cielo e lo schianta contro il pallone, che finisce in rete. La mano di dio, o il dito medio, come dirà nel corso di un’intervista, ad occhio e croce un po’ alticcio. Più di tutto, il pugno delle lotte del popolo. Non è calcio segnare con la mano? Certo. E’ lotta di classe, lotta di liberazione.
Diego, atto secondo
Dopo quattro minuti il nostro genio segna il gol del secolo. Prende palla nella propria metà campo, supera di fatto tutti ed insacca in rete. Niente da obiettare, da discutere, da verificare:colpiti ed affondati. Inchinatevi ai popoli oppressi che si sollevano, rappresentati da un piccoletto sgraziato, che gioca a calcio da solo.
Maradona dichiarerà che, nella fase finale dell’azione, nonostante la velocità ed i dribbling, riusciva anche a vedere Valdano sulla sua sinistra. Ma era marcato e non poteva passarla. Ricorderà altresì un azione simile contro l’Inghilterra, a Wembley, nel 1979. Davanti al portiere tocca di esterno e la palla va fuori di poco. Poi al ritorno a Buenos Aires, il fratello gli dice:
Perché non l’hai scartato? Avevi tutto lo spazio.
Lo avrebbe fatto sette anni dopo.
Che – L’argentino
Epilogo. Nel 2000, la FIFA premia, obtorto collo, Maradona quale giocatore del secolo. Esclusivamente grazie ai voti della gente via web. Diego ritira il premio e dice:
Lo dedico al più grande argentino di sempre, ad Ernesto Che Guevara.
Barrilete cosmico
¡Quiero llorar! ¡Dios Santo, viva el fútbol! ¡Golaaaaaaazooooooo! ¡Diegooooooool!
¡Maradona! Es para llorar, perdónenme … Maradona, en una corrida memorable, en la jugada de todos los tiempos… barrilete cósmico…
¿de qué planeta viniste? ¡Para dejar en el camino a tanto inglés!
¡Para que el país sea un puño apretado, gritando por Argentina!…
(Victor Hugo Morales, telecronista argentino, al secondo gol di Maradona). E per barrilete intende aquilone.
22 giugno 1986, Ciudad de Mexico, Estadio Azteca – Arbitro: Bennaceur (Tunisia) | |
Argentina 2 | Inghilterra 1 |
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Pumpido | Shilton (c) |
Brown | Stevens |
Cuciuffo | Samson |
Ruggeri | Fenwick |
Batista | Butcher |
Burruchaga 75′ Tapia | Hoddle |
Maradona (c) 51′ 55′ | Reid 69′ Waddle |
Enrique | Steven 74′ Barnes |
Giusti | Hodge |
Olarticoechea | Lineker 81′ |
Valdano | Beardsley |
All. Bilardo | All. Robson |
W la mano de dios !!!
E’ vero qs partita ha veramente cambiato la storia del calcio fissando un prima e un dopo.
E vero anche che è stata uno scacco all’imperialismo anche se allora, amio avviso, la percezione storica era minore di quanto l’evidenza odierna.
Sulla mano de dios dice qualcosa di veramente interessante questo libretto di Montalban
http://www.moviesport.net/movieeasy/it/contribshow.asp?n=1000000500
Col tempo invecchia bene, come il vino. E grazie tante per il consiglio, mi sa che il libro devo proprio leggerlo.
ciao Andrea, complimenti per l’articolo. Bel sito, semplice ma essenziale. Lo promuoverò subito!
Grazie Marco, da parte di tutti. Ciao!
ciao andrea! bellissimo articolo, complimenti!
Grazie Benny! Ciao!
Dici che: “è la vendetta calcistica su secoli di oppressione bianca ed europea”
Ma non capisco cosa c’entra il fatto di essere bianco o europeo visto che la stessa Argentina è costituita per oltre il 90% da bianchi di origine italiana e spagnola, e 30 anni fà forse lo era persino in misura maggiore….e gli stessi Che Guevara e Fidel Castro sono bianchi.
A Nicò, nun t’appesantì e fatte trasportà dar vento d’a poesìa… che già sto monno ce trasporta n’vento de’ scuregge. E ‘nnamo!