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Magnifica ossessione

La bestia nera delle principali nazionali calcistiche

Nel calcio esiste la bestia nera, eccome. Ce l’hanno gli allenatori, i giocatori, le squadre di club, ed ovviamente le nazionali. Anzi, quando tocca una nazionale, una grande nazionale, assume i connotati di un’ossessione collettiva. Una volta esorcizzata, perché la bestia nera nasce per essere dissacrata, è una liberazione. Nel frattempo, è un martirio.

La bestia nera è il volto irrazionale del calcio. È un ritorno ai timori dell’infanzia. Il tifoso si macera nell’illusione di cancellarla e spera in cuor suo di incrociarla sul proprio cammino e di sfidarla, più di qualsiasi altra squadra. Una volta accontentato, ne ha paura. Se sconfitto, dice “Io lo sapevo, lo sapevo. Perché di nuovo loro?“. Se vittorioso, gode immensamente, ma non può esimersi dal tornare col pensiero alle pene trascorse – delle quali si era quasi affezionato.

Vediamo dunque, allo stato attuale, quale è l’ossessione preferita di ognuna delle principali nazionali calcistiche del pianeta. Il loro incubo ricorrente, perturbante ma soprattutto non ancora esorcizzato.

GERMANIA

Qui andiamo sul sicuro. Con ogni probabilità, non c’è al momento bestia più nera di quella toccata in sorte ai campioni del mondo in carica.

17 giugno 1970. Siamo a Città del Messico, stadio Azteca, e si gioca la semifinale del Campionato del mondo. La Germania Ovest, che di lì a quattro anni avrebbe vinto tutto, affronta la squadra campione d’Europa in carica. L’Italia. Inutile dire il risultato finale perché lo sanno pure le nonne. Verrà definito l’incontro del secolo. Da noi è un pezzo di storia patria, però anche i tedeschi, anche i loro stessi giocatori ricordano con un misto di nostalgia e di orgoglio quell’evento. E vabbè, può succedere di perdere.

11 luglio 1982, Madrid, stadio Bernabeu. Gli azzurri portano a casa il loro terzo titolo mondiale al termini di un crescendo impressionante. In finale ci sono proprio i tedeschi, freschi vincitori del titolo europeo. Secondo tempo dominato dall’Italia e sconfitta tre a uno. Probabilmente quella nazionale, in quel torneo, era troppo per chiunque. Avranno pensato così anche i nostri avversari.

Tifoso tedesco medio in attesa dell'Italia (L'urlo di Munch - fonte iy.wikipedia.org)

Tifoso tedesco medio in attesa dell’Italia (L’urlo di Munch – fonte it.wikipedia.org)

4 luglio 2006. La partita che vale la finale del mondiale tedesco si gioca a Dortmund, WestfalenStadion, ed è Italia – Germania. Dopo centodiciannove minuti di tremenda tensione sportiva, di battaglia agonistica, di occasioni, di sofferenza, l’incontro è ancora sullo zero a zero. A quel punto segna Grosso. Poco dopo, raddoppia Del Piero. Una nuova generazione di italiani ha il suo italiagermania da ricordare. Al terzo episodio della serie, in quella che rappresenta la sconfitta più cocente della loro storia calcistica, i tedeschi prendono coscienza di un incubo con la maglia azzurra che si aggira per i campi da calcio e che periodicamente li bastona. Avrebbero a breve l’occasione di prendersi una piccola rivincita. Agli europei del 2012, italiani e tedeschi si incrociano di nuovo, ancora in semifinale. La Germania è favorita, forte di una squadra che due anni dopo avrebbe trionfato ai mondiali. Morale della favola: due a uno per noi.

Italia e Germania (nella sue versioni, occidentale ed unitaria) hanno giocato altre partite nel corso delle fasi finali di europei o mondiali, oltre ai celeberrimi incontri già citati. Si ricordano poco, ma in ogni caso i tedeschi non hanno mai vinto. Tutti pareggi, e sempre nel corso di gironi all’italiana. A dirla tutta, due volte ci hanno eliminati dalla competizione: Coppa del mondo del 1962 e Campionati europei del 1996. Ma furono le sconfitte con Cile, nel primo caso, e con Repubblica Ceca, nel secondo, le autentiche artefici delle nostre eliminazioni. Nel 1988, torneo continentale, entrambe le squadre passarono il turno. Durante i mondiali 1978, invece, Italia e Germania occidentale si sfidarono nel corso della seconda fase, che avrebbe decretato la finalista. Sempre pareggio, come detto, ma la finale fu raggiunta dall’Olanda.

È inevitabile, prima o poi i tedeschi batteranno l’Italia in una partita che conta, non c’è alcun dubbio. Ma senza fretta. Magari tra due secoli.

FRANCIA

I tedeschi, però, sanno essere a loro volta una bestia nera niente male. Negli anni sono diventati l’incubo di ben due grandi squadre. Una è l’Argentina, e lo vedremo poco più avanti. L’altra è la Francia.

Durante il già citato mondiale del 1982, una delle due semifinali pone di fronte: la Germania Ovest, sin lì non molto efficace, seppur sempre temibile; la Francia, formata da un organico d’eccezione, una squadra in grado di mostrare un calcio brillante ed offensivo. I blues sentono realmente la possibilità di raggiungere il titolo. La partita tracima nell’epica. Solo un vago accenno agli eventi principali: vantaggio tedesco; pareggia Platini su rigore; Schumacher, portiere della Germania, frana addosso a Battiston, che esce incosciente in barella mentre Platini gli tiene la mano; supplementari, nei primi dieci minuti la Francia infila due gol; dopo altri dieci minuti, la Germania ha pareggiato; allora rigori, ed è una novità assoluto sul palcoscenico iridato; il primo a sbagliare è Stilieke, il difensore tedesco uguale a John Cazale, che piange sconsolato in ginocchio nell’area di rigore; subito dopo, però, errore di Six; ad oltranza, tiro di Bossis parato, Hrubesch segna; Germania in finale. Poco tempo fa, la rivista francese So Foot ha decretato Francia – Germania Ovest ’82 l’incontro più grande di sempre. Al punto tale di attribuirgli connotati quasi esistenziali: Seville, c’est la vie.

Passano quattro anni e le due squadre sono di nuovo di fronte nel penultimo atto della Coppa del mondo. Le compagini sono su per giù le stesse, ma la partita non è neanche lontana parente della Notte di Siviglia. La Francia è a corto di ossigeno (si veda nel prosieguo perché). In ogni caso, il copione non cambia: vincono i tedeschi, due a zero.

Due indizi non bastano, ma tre fanno una prova. Un salto di ventotto anni ci conduce ai quarti di finale del mondiale brasiliano. Germania – Francia finisce uno a zero, scarto minimo ma vittoria abbastanza netta e meritata per i teutonici. Au revorir les blues, un’altra volta.

ARGENTINA

Si potrebbe obiettare che l’Argentina ha vinto uno dei suoi due titoli mondiali proprio in finale contro la Germania (Ovest). È vero. Ma da quel giorno del giugno 1986, i sudamericani hanno racimolato talmente tante scoppole che non possono più nascondere a sè stessi di patire un evidente complesso tedesco.

Solo quattro anni dopo Germania – Argentina è nuovamente la finale della Coppa del mondo. I tedeschi rendono immediatamente pan per focaccia alla seleccion: uno a zero, su rigore contestato a pochi minuti dalla fine. Gli albiceleste finiscono in nove e individueranno per sempre l’arbitro quale responsabile dell’esito di quella partita.

Sono però le ultime tre edizione del mondiale a rendere tremendamente reale l’incubo teutonico, per i poveri argentini. 2006, quarti di finale. Un’ambiziosa Argentina va in vantaggio all’inizio del secondo tempo e pare controllare il gioco. Pekerman, il ct, si copre, toglie Riquelme per Cambiasso. La Germania pareggia con Klose a dieci minuti dal termine. Ai rigori i tedeschi sono implacabili. Argentina fuori dalla competizione con il contorno di una rissa finale fra le due formazioni.

La nazionale tedesca vista dagli argentini (Il colosso di Goya o di Julia - fonte arteworld.it)

La nazionale tedesca vista dagli argentini (Il colosso di Goya o di Julia – fonte arteworld.it)

2010, sempre quarti di finale. L’Argentina guidata in panchina da Maradona schiera in attacco Messi, Tevez e Higuain. Non basta, il gioco latita ed è affidato solo ai singoli. La giovane Germania di Low concede una lezione di calcio ed infierisce sui malcapitati giocatori sudamericani: quattro a zero.

2014, addirittura finale del Campionato del mondo, la terza della storia fra le due squadre. La Germania è reduce dalla strabiliante semifinale contro i brasiliani.  Dall’altra parte trova un’Argentina più compatta del solito, più guardinga. Parte sfavorita, ma mette in difficoltà i tedeschi con le ripartenze, giocando forse la sua migliore partita nella competizione. A sette minuti dal termine dei supplementari, i rigori sembrano prossimi. I tedeschi sono però in crescita. Lancio di Schurrle per Gotze, rete, titolo alla Germania. La bestia nera è sempre la bestia nera.

Ricordiamo ancora altre due sfide fra le nazionali tedesca e argentina durante le fasi finali dei mondiali. In entrambi i casi si tratta di incontri avvenuti nella prima fase a gironi della competizione. Nel 1958 vince la Germania tre a uno e i sudamericani a breve lasceranno il torneo. Nel 1966 è un pareggio a reti bianche ma piuttosto violento, con tutte e due le squadre al turno successivo.

BRASILE

Il mito di Achille racconta di un guerriero imbattibile ed invulnerabile. L’unico punto debole, mortale, è il tallone, la parte del corpo rimasta fuori dalle acque dello Stige mentre la madre lo immergeva per renderlo invincibile. Paride lo uccide colpendolo al tallone. Ogni progetto umano, per quanto grandioso, ha un limite ed ha inevitabilmente racchiuso dentro di sé la possibilità di fallire. Vale così per il calcio. L’aspetto razionale è ben presente nel mare di superstizione e fanatismo che caratterizza il racconto delle bestie nere. Ogni squadra, anche la più forte, ha il suo tallone di Achille. Ogni squadra ha il suo incubo da evitare come la morte. Anche il Brasile, la nazionale al momento più forte della storia, con i suoi cinque titoli mondiali in bacheca.

Il sistema si pone così in equilibrio. Ma è interessante notare come la bestia nera del Brasile non sia una nazionale quasi di pari livello, ragionando in termini di mondiali vinti, e quindi né l’Italia, né la Germania – per quanto Belo Horizonte 2014 possa rappresentare un bel viatico. Non è neppure una delle storiche nemiche continentali quali Argentina ed Uruguay (il maracanazo resta pur sempre un singolo, sebbene rilevante, episodio). La bestia nera del Brasile è la Francia. E perché proprio la Francia? Chi lo sa.

La storia degli incroci fra Brasile e Francia inizia molto bene per i verdeoro. Siamo nel 1958, in Svezia, ed il Brasile batte la Francia cinque a due in semifinale. Non tragga in inganno il risultato: sull’uno a uno, intorno alla mezzora, i francesi restano di fatto in dieci causa infortunio. I sudamericani schierano una squadra fantastica e volano verso il loro primo trionfo iridato. Poi però il quadro inizia a farsi fosco.

Nel corso del mondiale 1986 in Messico uno dei quarti di finale mette di fronte nuovamente Francia e Brasile. Le squadre non sono più al livello di quattro anni prima, ma i grandi nomi si sprecano: Socrates, Zico, Junior, Careca da una parte; Platini, Rocheteau, Tigana, Giresse dall’altra. Ne viene fuori una partita entusiasmante. Il Brasile gioca bene e va in vantaggio, ma Platini pareggia già nel primo tempo. Nella ripresa inoltrata viene fischiato un rigore per il Brasile. I giocatori festeggiano ancor prima dell’esecuzione, ma non è il caso: Zico si fa respingere il tiro. Ai rigori sbagliano i maestri, Socrates e Platini. In mezzo ai due errori, un rigore incredibile di Bellone: tiro, palo, schiena del portiere, gol. Un anno dopo l’International Board avrebbe dichiarato la correttezza dell’assegnazione della rete. Alla fine, nuovo errore dei brasiliani e Francia avanti. Ma i transalpini pagheranno dazio in semifinale per gli sforzi profusi.

Altro incontro storico è ovviamente la finale del Campionato del mondo ’98. La Francia gode del fattore campo, però il Brasile è campione in carica – e quattro anni dopo di nuovo iridato. Pronostico in equilibrio. È la finale del malore di Ronaldo, un fantasma in campo. I francesi dominano praticamente tutto l’incontro; Zidane, assolutamente fantastico, segna una doppietta. La partita termina tre a zero, Francia campione del mondo e Brasile ancora sconfitto.

Brasiliano che sogna la partita con la Francia (Il sonno della ragione genera mostri do Goya - fonte arteworld.it)

Brasiliano che ripensa alla partita con la Francia (Il sonno della ragione genera mostri di Goya – fonte arteworld.it)

Ma senza dubbio lo spauracchio francese prende definitivamente vita nelle menti brasiliane il primo luglio del 2006, a Francoforte. Il Brasile è la grande favorita per la vittoria finale, ma non ha fatto i conti con la Francia e soprattutto ancora con lui, Zinedine Zidane. La punizione di Zizou scavalca tutta la difesa e pesca Henry, tutto solo, pronto a metterla dentro. Una grandissima Francia si aggiudica il biglietto per la semifinale mondiale e lascia per la terza volta i brasiliani a bocca asciutta.

C’è una divertente pubblicità di una carta di credito, lanciata nel corso dei mondiali del 2014. Un barbiere brasiliano rade Paolo Rossi, poi lo riconosce e ritorna a sé stesso bambino, quando vide la sua nazionale soccombere per i gol dell’attaccante azzurro. Si rabbuia per un attimo, poi gli sorride e gli stringe la mano. Ma guardate poco dopo chi entra dal barbiere (per essere preso rasoiate, con ogni probabilità - ecco il link).

ITALIA

Non è sempice stabilire di primo acchito chi possa essere la bestia nera per l’Italia. Forse l’Argentina, che ci ha sconfitti nella semifinale del nostro mondiale. Però nel 1982 l’abbiamo eliminata noi. E poi non ci hanno mai battuti prima dei rigori. Forse il Brasile, che si è imposto sull’Italia in due finali mondiali su due. Ma le vittorie nel ’38 e nel mundial spagnolo, vere e proprie finali anticipate, rimettono la bilancia in equilibrio. La Francia per un certo periodo lo è stata la nostra bestia nera, senza dubbio. Per circa vent’anni ci ha battuti a ripetizione (mondiale ’86, mondiale ’98, europei 2000), sino a diventare una vera ossessione. Però la finale mondiale del 2006 ha di fatto interrotto la serie negativa, cancellando così il maleficio. Diversi candidati, quindi, ma nessuno soddisfa appieno le caratteristiche necessarie per trasformarsi in un autentico incubo. E allora? Non abbiamo una bestia nera? Sì, magari. Forse è pure peggio.

La bestia nera dell’Italia, più che una squadra, è un l’idea: l’incubo degli azzurri sono le outsiders. Nessuno come noi, fra le nazionali di alto livello, soffre le squadre meno accreditate, le sorprese, le rivelazioni del torneo – che diventano tal spesso dopo averci incrociato. Non accade sempre, è ovvio, ma spesso. Forte con i forti e deboli con i deboli, questo innato senso di giustizia è una magra consolazione.

La nazionale italiana può vantare a proprio carico la sconfitta più sorprendente della storia dei mondiali (assieme alla disfatta inglese contro gli Stati Uniti nel 1950). Era il mondiale del 1966 ed all’Italia era sufficiente un pari contro una squadra di perfetti sconosciuti per approdare ai quarti di finale. La squadra di sconosciuti era la Corea del Nord. Nessuno sapeva, e pochi lo sanno ancora oggi, che la nazionale nordcoreana preparava il mondiale da tre anni con l’assiduità e la costanza paragonabili ad una compagine di club. Ma non erano comunque diventati dei fenomeni irresistibili. In dieci per un’ora, gli azzurri rimediarono una sconfitta diventata proverbiale.

Nelle ultime due edizioni della Coppa del mondo l’Italia ha pensato bene di rinverdire una tradizione che rischiava di perdersi. Campioni in carica, nel 2010 usciamo nella prima fase per mano della Slovacchia, squadra all’esordio nella competizione – e dopo aver pareggiato con la Nuova Zelanda, ho detto la Nuova Zelanda. Nel 2014 subiamo una storica sconfitta da parte della Costa Rica che di fatto ci spalanca le porte per una nuova eliminazione anticipata. I centroamericani saranno la vera sorpresa del mondiale, sfiorando la semifinale.

Ancora non basta? Allora torniamo all’anno 1954, eliminati dalla Svizzera al primo turno. Oppure al 1962: questa volta è il Cile a farci fuori dal torneo. O ancora al 2002, quando un’altra Corea, quella del Sud, sconfigge gli azzurri grazia al golden gol, negli ottavi del mondiale. In tutti questi ultimi tre casi, quali attenuanti, la nazionale può appellarsi al fatto di aver sfidato la squadra di casa, e di aver subito una buona dose di torti arbitrali. È vero, ma non è sufficiente a spiegare i crolli inattesi che, in modo ciclico, accompagnano i trionfi italiani.

Per tirare le somme: il grande Brasile ha paura della Francia, che a sua volta teme parecchio i tedeschi (e lo stesso vale per l’Argentina). La Germania ha il terrore dell’Italia. L’Italia smarrisce sé stessa di fronte alle squadre minori, le quali generalmente perdono di fronte alle altre grandi. A ciasuno il suo. Il cerchio si chiude.

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2 commenti
  1. C’è voluto quasi un anno, ma l’attesa è stata ripagata. Leggo con molto piacere il blog, e questo articolo “statistico” su nazionali, su cui tra l’altro sarei giunto alle stesse IDENTICHE conclusioni, nulla da eccepire. È perfetto.
    Eh si, nonostante la legnatona di Belo Horizonte, che ancora mi lascia incredulo, la Germania non è ancora la bestia nera del Brasile. Vuoi per lo 0-2 nella finale di Yokohama, ma anche per il 4-0 con cui, a Guadalajara, un Brasile finalista (e campione in carica) nella Confederations Cup ’99, liquida un’inconsistente Germania al suo esordio, poi eliminata al primo turno anche grazie ad un 2-0 patito contro gli U.S.A.
    Che il Brasile possa esserlo dell’Italia, aggiungendo anche i 3-0 e 4-2 delle ultime Confederations’ o la finalina del 1978, sarei tentato di dirlo. Ma quel beffardo 3-2 del 1982 pesa… e al video della pubblicità mi sono venute le lacrime dalle risate quando Zizou è entrato dal barbiere. Si, sono le outsider, decisamente, se ci si aggiunge pure il modo rocambolesco con cui l’Irlanda del Nord ci estromise dai mondiali del ’58.

    Bestie nere in pectore:
    ringraziandovi per l’articolo, vi lascio un essai molto “tosattiano” sulle bestie nere in pectore, che potrebbero diventarlo in futuro, vuoi perché lo sono ancora state troppo poco e a sprazzi, vuoi per altro…

    *Volendo fare aggiunte, direi che la bestia nera del Brasile potrebbe divenire l’Olanda (un’eliminazione nel 2010 e il requiem dello 0-3 in finalina, l’anno scorso, possono essere un buon viatico).

    *Sull’Inghilterra mi vien da dire che la bestia nera sia l’Italia, complice anche risultati come Euro 2012 o l’eliminazione alle qualificazioni dei mondiali del 78. Più altri risultati qua e la. Manco loro, come i tedeschi, pare non riescano a batterci mai, ma ci s’incrocia difficilmente.

    *Pensando alla Spagna, e pensando che fino alla finale del 2010, nel medagliere mondiale era sotto anche a Turchia ed Austria, “forte” di quel 4° posto nel 1950 e basta, direi che la sua bestia nera paia essere, in genere, una sorta di “sindrome da quarti di finale”. C’ha impattato spesso e volentieri, in modi rocamboleschi, a volte per arbitraggi super scandalosi (Gamal Ghandour, per Corea-Spagna del 2002, credo eclissi la prestazione di Byorn Moreno). Ci stava quasi riuscendo nel 2010 col Paraguay se Casillas non avesse parato il rigore di Cardozo.

    *Sull’Olanda, inserendo fra le grandi anche lei in qualità di “oh è ‘no squadrone, le manca solo il mondiale”, titolo poco ambito passatole dalla Spagna 5 anni fa, c’ho pensato. Non ce n’è una ben definibile, non c’è davvero, ma pensando ai mondiali recenti mi vengono in mente, in mancanza di meglio, Irlanda ed Argentina. Nel girone F (della noia mortale) di Italia ’90, dove solo Inghilterra-Egitto spezzò quella serie di pareggi, Irlanda e Olanda si trovarono a pari in tutto. Una monetina scelse i verdi come secondi e gli orange come terzi ripescabili. I primi presero la Romania e passarono ai rigori, e ai secondi toccò la Germania futura campione. Alle qualificazioni del 2002 gli olandesi furono eliminati in virtù dell’1-0 patito a Dublino, saltando l’unico mondiale dal ’90 ad oggi. A riguardo dell’Argentina, seppur eliminata dagli olandesi nel ’74 e nel ’98, pesano molto i risultati del ’78 e del 2014. Si vede che dev’essere il clima HORROR a fare da spauracchio agli olandesi contro l’albiceleste: nel ’78 si sente molto la longa manus di VIDELA, e nel 2014 la longa manus (guantata) ce la mette ROMERO, che pur non essendo parente di George, con quel cognome avrà “spaventato” lo stesso gli orange.

    *Sulla Francia vorrei aggiungere un dato curioso: più che bestia nera, la Danimarca pare essere il suo oracolo (e viceversa) di future vittorie o eliminazioni. Sembra che chi vinca tra loro due in incontri al primo turno, sia poi destinata alla vittoria finale.
    Succede agli Europei del 1984: 1-0 per i francesi, e Platini e soci diventano campioni d’Europa. Nel 1992 delle sorprese vincono i danesi per 1-2, onde poi laurearsi campioni d’Europa. E pure in Confederation’s Cup 3 anni dopo, ci aggiungo forzatamente io. Ai mondiali del ’98 è 2-1 per i francesi, campioni per la prima volta, e ad Euro 2000 arriva il bis per 3-0, e il secondo oro europeo. Come mai il 2-0 per la Danimarca, ai mondiali del 2002, non le abbia fruttato il titolo iridato sarà forse spiegabile da un altro dato casistico. Pare che quando la Danimarca vinca un girone mondiale, facendone pagare le spese all’Uruguay (6-1 nell’86, 2-1 nel 2002), sia poi destinata a franare malamente e inaspettatamente agli ottavi (5-1 della Spagna nell’86 e 3-0 dell’Inghilterra nel 2002).
    *Completando il ciclo delle vincitrici mondiali, sull’Uruguay non m’è sinceramente venuto in mente quasi nulla, vuoi per il suo ruolo quasi nullo tra il 1970 e il 2010. Per quello che ho scritto sopra, mi viene da pensare alla Danimarca come bestia nera in pectore. Due soli incontri molto distanziati, però quel 6-1 (sei a uno!) dell’86, che i bicampioni della celeste patirono contro un’esordiente totale, pesa. Un ipotetico terzo incontro con vittoria danese avvalorerebbe la tesi e le darebe ufficialità… chissà.

    Pongo qui infine un’altra riflessione “tosattiana”: ma se la Germania ai mondiali non va mai sotto i quarti di finale manco se l’ammazzano, e se i tedeschi perdono sempre contro di noi, un eventuale Italia-Germania agli ottavi di finale di Russia 2018, potrebbe essere la risposta definitiva ai problemi di energie rinnovabili? È come il concetto del “motore a gatto imburrato”. Un moto perpetuo, una partita che NON può avere un esito :-D

    Ciao e grazie dei post, sempre eccellenti. Speriamo però di non dover aspettare troppo :) Un abbraccio. Ma non è solo una questione di dati tecnici, è proprio l’espressione del “calcio poetico” che si evince dagli articoli. E a proposito di calcio poetico, a quando un articolo su Tomás Felipe Carlovich, detto “El Trinche”, il più grande giocatore del mondo (a detta dello stesso Maradona, eh) e praticamente sconosciuto?

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