Buenos Aires, 10 giugno 1978, stadio del River. Argentina e Italia si affrontano per la terza partita del girone eliminatorio, prima fase. L’Argentina schiera un 4-3-3, con Fillol in porta, Olguin, Passarella, Galvan e Tarantini a formare la linea dei difensori; il centrocampo vede Ardiles, Gallego e Valencia; in attacco ci sono Bertoni, Ortiz e Kempes. Formazione tipo, si può dire, tranne l’assenza della punta Luque, colpito nei giorni precedenti la partita da un grave lutto famigliare.
La Nazionale mette in campo: Zoff in porta, Scirea libero, Gentile, Bellugi (subito sostituito da Cuccureddu per infortunio) e Cabrini a completare la difesa; Benetti e Tradelli centrocampisti più arretrati, Causio sulla destra, Antognoni è in regia; Rossi e Bettega punte. Tradizionale schieramento all’italiana e, anche in questo caso, è la formazione titolare. Le squadre sono già qualificate al turno successivo, il girone di semifinale, avendo entrambe vinto le due partite precedenti, contro Francia ed Ungheria. L’incontro serve dunque esclusivamente per decidere chi occuperà il primo ed il secondo posto del girone.
Mondiale 1978: quasi una finale
Ed allora, per quale ragione mettere in campo le formazioni migliori? Della questione si dibatterà parecchio in casa italiana. Il dispendio di energia nel corso di un incontro non determinante verrà indicato come la causa principale del mancato ingresso in finale. Si sarebbe detto, in seguito, che la scelta fu dettata dai titolari, in particolare i giocatori della Juventus. Questi si sarebbero opposti alla presenza in campo dei sostituti per timore di perdere il posto, in poche parole. Si sarebbe parlato di un intervento diretto degli sponsor. Ed anche, della presenza di un accordo fra i commissari tecnici, al momento dei sorteggi, per schierare le riserve nel corso dello scontro diretto, se ininfluente. L’accordo sarebbe stato disatteso da Menotti, l’allenatore argentino, e, di conseguenza, anche l’Italia avrebbe così scelto di mandare in campo i migliori.
La spiegazione può essere più semplice. Intanto, la vincitrice del confronto, cioè la prima del girone, sarebbe rimasta a Buenos Aires. La squadra sconfitta sarebbe andata a Rosario, ed evitare lo spostamento aveva senza dubbio i suoi lati positivi. Poi, una vittoria contro l’avversario, per entrambe, avrebbe costituito comunque una dimostrazione di forza. Ma, soprattutto, l’Italia stava giocando molto bene. In un torneo concentrato e relativamente breve come un mondiale, trovare lo schieramento ideale e farlo rendere, è decisivo. Se una squadra funziona, è utile e indispensabile farla giocare assieme il più possibile. Modificare qualcosa, invece, anche per un incontro non determinante, può rompere il giocattolo. Quelli citati sono elementi importanti e, con ogni probabilità, il grandissimo Enzo Bearzot li aveva ben chiari in testa.
Il gol meraviglioso di Bettega
Si deve dire chiaramente che, sul campo, i ritmi non sono ossessivi. Anche le entrate violente sono piuttosto ridotte, in un mondiale nel quale i duri interventi fallosi si sprecheranno. Comunque, è una partita bellissima. Colma di splendide giocate, di accelerazioni, di cambiamenti di fronte.
All’Italia è sufficiente un pareggio per conquistare il primo posto del girone, in virtù di una migliore differenza reti. Pertanto adotta un atteggiamento attendista, lasciando maggiormente l’iniziativa alla nazionale biancoceleste. Ma gli italiani non disdegnano efficaci puntate offensive, anzi. La migliore occasione del primo tempo è un colpo di testa di Bettega, a colpo sicuro, parato di puro istinto da Fillol. E’ da segnalare anche una gran punizione di Kempes e la grande risposta di Zoff.
Nel corso della parte finale del primo tempo, però, la pressione argentina cresce. Ancora maggiore è il controllo del gioco da parte dei sudamericani all’inizio della ripresa. Pare che l’Italia non riesca a reagire. Lo stallo continua sino al gol di Bettega, al sessantasettesimo.
Ora, se c’è un azione che andrebbe sempre mostrata nelle scuole calcio di tutto il mondo, è proprio questa. Antognoni passa a Bettega, che di prima dà a Rossi. Triangolo ancora di prima per Bettega. Il pallone si allarga sulla destra, appena nell’area, e Bettega sempre di prima scocca un gran tiro rasoterra verso sinistra, fil di palo. Rete. Guardate, un gol pazzesco. La palla pare una saetta. La difesa argentina è scardinata, aperta in due come una mela.
Ci fu un silenzio pazzesco allo stadio Monumental. Anche i nostri connazionali rimasero zitti. Durò un secondo, ma sembrò un’eternità. Poi per Buenos Aires scoppiò la festa.
dirà Zaccarelli. L’Argentina, stordita, non riesce ad imbastire una seria reazione. Il tutto si riduce a velleitari tiri da fuori, sintomo di frustrazione. Anzi, sfiora il raddoppio addirittura l’Italia con un colpo di testa ancora di Bettega, dopo una grande azione di Causio sulla destra. Finisce uno a zero per gli azzurri che così chiudono il girone a punteggio pieno, unica squadra del mondiale a riuscirci.
Menotti costruisce una grande Argentina
A parere di chi scrive, l’incontro del 1978 ha rappresentato il livello più alto, dal punto di vista tecnico, nelle sfide mondiali tra Italia ed Argentina. E pare incredibile come il contesto sia cambiato in soli quattro anni, rispetto alle scialbe squadre viste in campo a Germania ’74. Quattro anni passano come ere nel calcio.
L’allenatore dei nostri paisà d’oltreoceano è dal 1974 Luis Cesar Menotti. L’obiettivo, palese, dichiarato, è di portare a casa la coppa del mondo per la prima volta nella storia, sfruttando il vantaggio del fattore campo. Menotti predica un calcio offensivo e ricerca l’estetica, oltre al risultato. Nel 1973 ha vinto un campionato argentino con l’Huracan, mostrando un gioco splendido e osannato da tutti. Chiude però, e lì costruisce il successo, con i personalismi tipici dei fuoriclasse argentini. Basta con i giocolieri, i numeri per le folle, spesso accompagnati da isterismi e provocazioni. Il suo calcio è sottomesso al collettivo. La difesa è a zona. Gli attaccanti, alcuni dei quali possiamo chiamarli anche centrocampisti avanzati, partono da posizioni più arretrate rispetto al solito, e così creano gli spazi. Un concetto molto, molto moderno. Sul terreno di gioco si vedono fraseggi, sovrapposizioni, ma soprattutto dei caratteristici tentativi di sfondare centralmente, efficaci e molto belli da vedere.
Menotti lascia a casa il talentuoso Bochini ed un giovincello già parecchio promettente, Diego Armando Maradona. E nonostante sia stato lo stesso Menotti a far esordire il futuro campione in nazionale. Conferma la tradizionale ritrosia argentina ad accettare nella seleccion giocatori in forza a squadre straniere, e ne convoca solo uno, Mario Kempes, del Valencia. La spina dorsale della squadra è formata dal portiere Fillol, dal centrale difensivo Passarella, da Ardiles a centrocampo e da Kempes in attacco, capocannoniere della manifestazione. Questi nomi saranno i grandi protagonisti del mondiale.
Nelle ultime tra partite realizza l’idea decisiva, ovvero schierare Kempes in aggiunta ed alle spalle di tre giocatori offensivi. Sarà un’intuizione fondamentale: Kempes segnerà quattro gol in due incontri e l’Argentina spiccherà il volo. Una grande squadra, sicuramente. Non immune da difetti però. Il principale, la difesa, spesso presa alla sprovvista. Non mancherà, è il caso di dirlo, anche una buona dose di aiuti arbitrali. Tipici, ma non così fisiologici, per le squadre di casa ai mondiali.
Splendida sorpresa, l’Italia
Nessuno se l’aspettava, ma l’Italia gioca un grande mondiale. L’Ultima amichevole prima della competizione era stata un pareggio a reti bianche, tristanzuolo, contro la Jugoslavia. Nell’occasione, molti giornalisti si scatenano in critiche ed accuse. Legittime fin che vuoi, ma, come spesso accade, esagerate e inutilmente feroci.
Come per la nazionale argentina, il post ’74 ha segnato l’inizio di una ristrutturazione. Dopo un periodo in coabitazione con Bernardini, sulla panchina azzurra inizia a sedere in pianta stabile Enzo Bearzot. L’Italia arriva ai mondiali eliminando l’Inghilterra grazie al fatto di aver segnato più reti negli altri incontri del girone di qualificazione. Gli inglesi vengono battuti due a zero a Roma nel ’76 ed in quell’occasione l’Italia sfodera una grande prestazione. È già un segnale importante, benché non colto.
La nazionale che si presenta ai mondiali è costruita sul blocco Juventus, la squadra che vince il campionato da due anni a questa parte. Ci sono diversi giovani ed indiscutibili fuoriclasse. Zoff è come sempre in porta. Il libero è Scirea, uno dei più grandi di sempre, difensore e soprattutto centrocampista aggiunto. Cabrini e Rossi, terzino e sinistro e punta, sono pressoché esordienti, ma si impongono sul palcoscenico mondiale in modo autorevole. Causio gioca alla grande. Bettega, almeno nella prima fase, è il migliore giocatore del torneo.
La squadra, come già detto, è costruita su di un solido e tradizionale impianto di gioco all’italiana. Ciò non significa catenaccio o difensivismo. Tutt’altro. La duttilità tattica di Bearzot consente di impostare alcuni frangenti di partita sull’attesa dell’avversario, come accade contro l’Argentina. Ma il più delle volte l’Italia di quel mondiale comanda il gioco e crea un sacco di occasioni da rete. Nella seconda fase, la partita contro la Germania Ovest sarà infatti ricordata come un esempio di catenaccio. Ma da parte dei tedeschi. Bearzot fa sua la lezione delle più innovative scuole calcistiche del periodo, e la adatta alla realtà calcistica nazionale. Costruirà le basi per il futuro trionfo.
Noi belli, loro campioni…
Italia – Argentina del 1978 è quindi ricordata a ragione come una delle partite più importanti della storia della nazionale, nonostante il fatto che in palio altro non ci fosse altro che il primo posto del girone. Paradossalmente, poi, l’Italia senza saperlo sarebbe finita in un girone ancora più difficile di quello dei padroni di casa, battuti sul campo.
Secondo alcuni l’Italia è la migliore formazione di quel mondiale, la più forte, quella che avrebbe meritato maggiormente la coppa. Sarà. Ma il titolo lo vincono loro. Noi ci fermiamo ad un passo dalla finale e come sarebbe stato l’incontro per il titolo fra le due nazionali non lo sapremo mai. Nel girone di semifinale, dopo aver pareggiato con i tedeschi ed aver battuto la solida Austria, ci imbattiamo nell’Olanda. Gli orange sono parenti un po’ alla lontana della fantastica formazione vista in campo quattro anni prima, ma rimangono una compagine di valore. Chiudiamo il primo tempo in vantaggio, poi capitoliamo nella ripresa per due a uno. Anche questa è una partita colma di episodi e di significati, ma è un’altra storia.
L’Argentina arriva in finale grazie alla migliore differenza reti nei confronti del Brasile, che sarà terzo. Dopo aver battuto la Polonia e pareggiato con i verdeoro, gli argentini sommergono di gol il Perù. Sfruttano in tal modo un calendario vergognoso che permette loro di scendere in campo dopo il Brasile, conoscendo pertanto già il risultato dei loro avversari diretti per il passaggio del turno. Di Argentina – Perù si è parlato tanto, e se ne parlerà per sempre, ma anche questa è un’altra storia. La finale contro l’Olanda, al Monumental di Baires, è vinta tre a uno dai sudamericani. E’ una partita molto tesa, dura, spesso messa in discussione dagli sconfitti. Ma è un incontro meraviglioso, da storia del calcio, a cui entrambi i contendenti fanno onore.
Dunque: noi siamo belli per la critica, ma loro sono i campioni del mondo. Li abbiamo pure battuti, e a casa loro, ma non è bastato. Di titoli ne abbiamo sempre uno in più. Però sono quarant’anni che non ne vinciamo uno e il ricordo, necessariamente, sbiadisce. Loro sono come quei parenti d’oltroceano che stanno cominciando a far fortuna, tornano e ce lo fanno capire. Mentre noi da un po’ di tempo viviamo troppo di soli ricordi. E pertanto cominciano a girarci un po’ le balle…
Post scriptum
Se ne è scritto, ed un giorno magari proveremo a scriverci anche noi. Di quello che accadeva sui campi di calcio e di quello che accadeva a poche centinaia di metri dai campi di calcio, in Argentina, nel 1978 e non solo. Per ora, solo un piccolo omaggio, più di tutto un dovere: http://www.madres.org/navegar/nav.php.
10 giugno 1978, Buenos Aires, Estadio Monumental - Arbitro: Klein (Israele) | |
Italia 1 | Argentina 0 |
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Zoff (c) | Fillol |
Gentile | Olguin |
Bellugi 6′ Cuccureddu | Passarella (c) |
Scirea | Galvan |
Cabrini | Tarantini |
Causio | Ardiles |
Tardelli | Gallego |
Benetti 60′ | Valencia |
Antognoni 73′ Zaccarelli | Bertoni |
Rossi | Ortiz 72′ Houseman |
Bettega 67′ | Kempes |
All. Bearzot | All. Menotti |