Qualcuno la considera una risorsa, qualcun altro un problema, spesso è la scusa per lasciarsi andare a sentimenti di pancia e giustificare il razzismo. L’immigrazione è tante cose insieme, ma soprattutto è uno di quei fenomeni socio-economici che divide i popoli, spesso contraddistinti da un problema di memoria corta, anche perché – se c’è una cosa che il breve secolo da poco passato ci ha insegnato è proprio questa – i flussi migratori possono cambiare repentinamente e chi oggi si lamenta dei troppi stranieri sotto casa, domani potrebbe finire straniero a scoprire come sa di sale lo pane altrui. Noi italiani – al solito – ce ne siamo dimenticati. Eppure l’altro ieri spintonavamo in massa nei porti, destinazione New York o Buenos Aires, e oggi di nuovo si fugge, magari non più con le valigie di cartone, magari non in massa, ma chiaramente l’Italia di oggi è un crocevia di arrivi ma anche di partenze.
Spesso immigrazione fa rima con razzismo. Il calcio, con queste due parole, ha un rapporto ineludibile e sicuramente particolare. Non a caso solo allo stadio ci si può permettere di sommergere di buuu il giocatore di colore della squadra avversaria per poi invece osannare un altro giocatore con la pelle scura ma abbastanza fortunato da indossare la maglia giusta. Mai come nel calcio la libera circolazione delle persone é un dogma, per quanto ogni campionato segua logiche differenti per comporre le rose delle proprie squadre. Comprendere queste logiche non sempre è immediato, ma qualche dato può darci una mano a comprendere.
Prima di cominciare, una piccola nota metodologica. Abbiamo preso in considerazione le rose delle squadre che compongono i 5 maggiori campionati europei dopo il mercato invernale, escludendo i calciatori che non hanno preso parte a nemmeno un minuto delle partite giocate dalla propria squadra dal loro arrivo al 14/02/2014. La fonte è il sempre fondamentale Soccerway.
Francia
Cominciamo dalla Ligue 1. Il massimo campionato francese ospita calciatori di 52 paesi differenti ma i giocatori transalpini continuano ad essere in maggioranza, con il 56.1%. La colonia più ampia presente è quella brasiliana, ma il grande bacino dal quale si pescano i giocatori è l’Africa, in particolare l’Africa francofona: nella top ten degli stati di provenienza ci sono infatti Senegal, Mali, Costa d’Avorio, Algeria e Camerun, ma anche andando avanti nella lista si trovano Guinea, Togo, Tunisia, Marocco e Burkina Faso, solo per rimanere nella top 20. I calciatori africani sono 106 in tutto su un totale di 456. Come se il colonialismo non fosse mai finito.
L’esotismo dei francesi non va molto oltre: l’est del globo è completamente assente, dal Nordamerica ne arrivano un paio ma poca roba. Brasiliani e Argentini sono ovunque nei grandi campionati e anche qui proliferano, ma meno che altrove. D’altra parte siamo in Francia, e si deve parlare francese: lo stretto rapporto con i paesi francofoni risulta evidente anche per ragioni puramente linguistiche, e non è certo un caso se quasi l’80% dei calciatori possano contare sul francese come lingua madre.
A livello di club, quello che conta più francesi in rosa è l’Olympique Lyonnais con 20 elementi, mentre PSG e Monaco, le squadre più orientate verso la globalizzazione, ne contano rispettivamente 9 e 8, ma se i parigini si affidano principalmente ai blocchi brasiliani e italiani, i monegaschi sono più internazionali: ben 9 le nazioni rappresentate. Curioso il caso del Reims, che nonostante la caratura non esattamente da prima della classe, ospita in rosa i rappresentanti di 11 nazioni e soltanto 9 transalpini.
Germania
Avendo l’unico campionato a 18 squadre, le cifre assolute della Bundesliga fanno meno impressione, ma in ogni caso anche i calciatori tedeschi riescono ancora a mantenere il sopravvento, per quanto il 51% non sia esattamente una percentuale rassicurante. A dimostrare poi lo stereotipo di un calcio molto fisico e poco fantasioso – per quanto ormai ci siano splendide eccezioni, vedi Bayern e Borussia – c’è il dato sui sudamericani: ce ne sono una manciata, 21, molti meno di tutti gli altri campionati. In compenso si pesca parecchio dall’Europa e in particolare dai paesi confinanti: non a caso le prime fornitrici di calciatori alla Bundesliga sono Svizzera, Repubblica Ceca e Austria, che in tre portano il doppio dei giocatori dell’intero Sudamerica.
Il Bayern è la società che punta meno sui tedeschi: solo 7 in rosa, ma a guardare i nomi c’è il sospetto che il meglio del calcio germanico sia qui. In compenso chi punta forte sugli atleti di casa è l’Eintracht Braunschweiger, 17 tedeschi e ultimo posto in classifica.
Inghilterra
Senza dubbio il campionato più globale: ben 62 i paesi rappresentati e anche i calciatori inglesi sono merce rara: 147 su 465, poco più del 30%. Spostandosi nel Regno Unito, il dato comprensivo di scozzesi, gallesi (i quali vantano due squadre in Premier League, per quanto il Galles abbia il suo campionato nazionale) e irlandesi porta la percentuale di locali poco oltre il 40%. Tantissimi gli europei (l’81%, provenienti per lo più da Francia e Spagna), ma anche gli altri continenti sono ben rappresentati, per quanto la rappresentanza sudamericana non sia così florida come altrove.
La vita dura dei calciatori britannici appare chiara guardando quanti di questi giocano nelle squadre di vertice ma non solo: Chelsea e Manchester City hanno solo 4 inglesi a testa in rosa, l’Arsenal fa appena meglio con 6. Da segnalare il curioso caso del Sunderland: 4 dei 7 italiani che giocano in Premier indossano la casacca biancorossa.
Italia
L’Italia, invece, ha una passione smodata per i sudamericani, passione che potrebbe sembrare quasi una perversione: in Serie A ce ne sono 119, quasi il doppio della Spagna e quattro volte l’Inghilterra. Ok, non serve un trattato sociologico per dire che tra latini ci intendiamo e anche i doppi passaporti da noi e da loro si spacciano con troppa nonchalance; però è anche vero che la qualità dei rifornimenti si è piuttosto abbassata e che spesso le nostre squadre si fanno ancora sbertucciare quando gli si sventola di fronte il mito di Aristoteles, lo sconosciuto brasiliano o argentino destinato a diventare il nuovo [Pelé, Maradona, Garrincha, scegliere un nome a piacere] di turno. Amiamo molto anche gli ex jugoslavi e non disdegniamo greci e svizzeri, tutte nazioni che non sono proprio al top delle gerarchie del calcio.
In compenso siamo un po’ chiusi – le nazioni rappresentate sono appena 40 – ma è una chiusura che non si riflette nel rapporto tra stranieri e italiani: vincono i primi, 256 a 200. Emblematico il caso del Catania, che non sfigurerebbe in Primera Division: 11 argentini contro 7 italiani. Tra le grandi, le più nazionaliste sono Juventus e Milan, e non a caso da anni la nazionale poggia sul blocco bianconero.
Spagna
La Liga, invece, è il fortino del nazionalismo: il 61% dei calciatori è spagnolo, ed è la percentuale migliore tra i 5 campionati presi in considerazione. Il clima tiepido richiama ovviamente torme di latini (ben 65 calciatori arrivano da Argentina, Brasile e dal vicino Portogallo), ma qui anche le big fanno largo uso di giocatori locali, e la differenza si vede. Se la Spagna domina da anni a livello di nazionale qualche motivo ci sarà pure, e le cantere qui sfornano talenti a più non posso, quindi l’onda rossa non sembra ancora particolarmente a rischio negli anni a venire.
L’Atlethic Bilbao non fa più notizia, visto che tradizionalmente la formazione biancorossa è una sorta di nazionale basca, e quindi stranieri veri non ce ne sono. Purtroppo per loro, però, i Paesi Baschi non sono riconosciuti dall’UEFA, e quindi Aymeric Laporte risulta essere francese (il secondo dai tempi di Bixente Lizarazu). Sono comunque molte altre le squadre che hanno in rosa più di 15 spagnoli, a partire dal Barcelona, che da sola forma anche l’ossatura delle furie rosse.
Nel complesso
La qualità della Premier League, probabilmente ad oggi il miglior campionato al mondo, è anche dovuta alla presenza di tanti, tantissimi protagonisti provenienti dagli altri Top 4. In compenso, si dà poco spazio agli indigeni, elemento che sicuramente si riflette sulle prestazioni della nazionale inglese. Il flusso migratorio ad alti livelli, quindi, ad oggi punta verso l’isola, a scapito degli altri campionati.
E gli italiani?
Le frontiere del nostro paese, in senso calcistico, sono davvero spalancate. In qualche modo gli stranieri sono più appetibili, anche a livello di marketing. Chiaramente la conseguenza è il minore spazio a disposizione dei nostri connazionali. Nel senso inverso, gli italiani – come anche gli inglesi – non amano particolarmente emigrare. É una storia vecchia: la nostra emigrazione in uscita è praticamente iniziata negli anni ’90 con Vialli e Zola al Chelsea, prima quando c’è stata è stata episodica e solitamente riguardante vecchie glorie a fine carriera. D’altra parte la Serie A era il centro del mondo e buoni motivi per andarsene in fondo non ce n’erano. Insomma, non è una sorpresa scoprire nelle altre top 4 giocano appena 14 italiani, a fronte dei 63 francesi e dei 45 spagnoli. Il dato, probabilmente, impoverisce un po’ il nostro calcio, per quanto siamo pieni di esperienze di italiani trasferitisi all’estero e rientrati nel belpaese di corsa dopo un’esperienza non proprio esaltante.
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