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Derby d’Europa, la finale

Champions League 2013/14: Real Madrid - Atletico Madrid

Sabato 24 maggio 2014, Lisbona: data e luogo dell’ottavo derby della storia delle coppe europee. Di fronte ci sono Atletico e Real, ovvero el derbi madrileno. In Europa si sono già incontrate una volta, nel lontanissimo 1959, semifinale di Coppa dei Campioni. Vinse il Real. È dunque il secondo derby europeo di Madrid della storia. La città spagnola eguaglia Milano. Lo stesso dicasi per il numero complessivo di coppe campioni conquistate, cioè dieci. La Spagna invece sale a quattordici, staccando così Italia ed Inghilterra, ferme a dodici.

Prima della finale, il Real Madrid può già vantarne nove, di quelle coppe, l’ultima delle quali nel 2002. Tre le finali perse dai blancos. L’Atletico Madrid torna in finale nella massima competizione europea per club dopo quarant’anni tondi tondi. Ha disputato la sua sola finale di Coppa campioni nel 1974, e l’ha persa contro il Bayern Monaco. Particolare: è stata la prima e probabilmente unica finale ripetuta in quanto non c’erano ancora i rigori e la prima partita era finita in parità dopo i supplementari. Altro particolare: l’Atletico Madrid, senza aver vinto la Coppa campioni, vinse la Coppa Intercontinentale, stante la rinuncia del Bayern a parteciparvi. Oltre a motivi specifici, non era un trofeo particolarmente sentito all’epoca.

Atleti contro Madrid, dunque, come le chiamano nella capitale iberica, ora più che mai capitale del calcio. La coppa dalle grandi orecchie edizione 2014 è roba esclusivamente madrilena.

DUE O TRE COSE CHE SO DI LORO

Partiamo marxianamente dalla struttura. Ai sensi del rapporto Deloitte sulle principali entrate delle società calcistiche nel 2013, il Real Madrid è saldamente al comando. L’Atletico è al ventesimo posto. L’analisi di Forbes sul valore delle stesse società vede nuovamente i blancos al vertice, mentre i concittadini biancorossi occupano la posizione numero diciassette. Secondo il Brand Finance Football, il marchio Real vale 768 milioni di dollari, quello Atletico, diciannovesimo al mondo, 126 milioni. Ora, su svariate centinaia di società professionistiche di calcio nel mondo, stare nelle prime venti non è male. Ma ciò che impressiona sono le proporzioni fra i valori. Le entrate del Real sono oltre quattro volte quelle dell’Atletico. Il marchio dei bianchi è sei volte più pregiato di quello dei biancorossi. Il valore complessivo del Real è dieci volte quello dell’Atletico: 3.3 miliardi di dollari contro 328 milioni. Poveretti.

Il presidente del Real, chiunque sia - fonte comicsblog.it

Il presidente del Real, chiunque sia – fonte comicsblog.it

Passiamo allora alla sovrastruttura. Il Real Madrid, definita nel 2000 dall’IFFHS la migliore squadra di calcio della storia, ha oltre dieci milioni di followers su twitter e cinquanta milioni di likes su facebook. L’Atletico seicentomila followers ed un milione mezzo di likes. L’Atletico è storicamente la squadra del proletariato madrileno, ma questa caratteristica si è ormai persa nel tempo. I tifosi del Real festeggiano le vittorie della propria squadra attorno alla fontana di Cibele, dea della terra. La fontana è al centro della piazza omonima, circondata dal quartier generale dell’esercito spagnolo, dalla sede del Banco d’Espana e dal municipio di Madrid. Il potere militare, finanziario e politico. I tifosi dell’Atletico festeggiano invece presso la fontana di Nettuno, il dio del mare. In una città che dista 350 chilometri dal mare più vicino…

Pare non ci sia confronto. Veniamo però al campo. L’Atletico Madrid a sorpresa a vinto la Liga spagnola davanti al Barcellona ed ai cugini. Ha superato proprio il Real nella parte finale della stagione. Poi è arrivato al traguardo un po’ col fiatone, o magari col braccino da tennista, ma in ogni caso ce l’ha fatta a portare a casa il decimo titolo spagnolo della sua storia. L’Atletico ha vinto il derbi madrileno di andata al Santiago Bernabeu, mentre al ritorno è finita due a due. Il Real Madrid quest’anno può vantare la vittoria nella coppa nazionale, dopo aver eliminato proprio i colchoneros in semifinale. Un po’ poco, se paragonato al campionato, e viste le premesse. Per fortuna nel calcio esiste il campo, che talvolta diventa la sovversione rivoluzionaria dell’algida e brutale supremazia economica.

LA STRADA PER LISBONA

Non so dire se sia stato più sorprendente vedere l’Atletico di Diego Simeone campione di Spagna o in finale di Champions. Due imprese storiche, entrambe, e di sicuro una stagione del genere non la sognava nessuno. L’Atleti arriva alla finale di Lisbona imbattuto: nove vittorie, tre pareggi e basta. Ha fatto 25 gol e ne ha subiti la miseria di sei. La migliore performance in difesa, ai sensi dei dati statistici di squakwa.com, e la quarta in attacco. Solo trentunesima nel possesso palla, ma conta così tanto?

L’Atletico domina il proprio girone formato da Zenit, Porto e Austria Vienna. Non così semplice. Agli ottavi supera un Milan abbastanza allo sbando, se giudicato nel complesso della stagione. Il colpaccio arriva ai quarti, quando affronta, da sfavorita, il Barcellona. Gioca un ottimo incontro di andata al Camp Nou, si difende, va in vantaggio e chiude sull’uno a uno. Al ritorno sfodera una prestazione fantastica nel corso del primo tempo, durante il quale pressa gli avversari ferocemente nella loro trequarti e di fatto gli nasconde la palla. Vince uno a zero, ma poteva farne anche tre. La semifinale vede i colchoneros opposti al Chelsea di Mourinho. L’andata a Madrid termina zero a zero. Il Chelsea ha un atteggiamento chiaramente ispirato al catenaccio. Pertanto il vantaggio degli inglesi al ritorno pare una pietra tombale sulle aspirazioni dell’Atleti, che ora dovrà scoprirsi e prestare il fianco al contropiede avversario. Invece pareggiano subito. Poi nella ripresa, con costanza, pervicacia e spirito di squadra, mettono le basi per il tre a uno finale.

Diego Simeone - fonte es.wikipedia.org

Diego Simeone – fonte es.wikipedia.org

Passiamo al Real. Dieci vittorie, un pareggio ed una sconfitta, prima della finale. Addirittura 37 gol fatti, di cui il 60% nei secondi tempi. Miglior performance d’Europa in attacco, terza in difesa, sempre ai sensi delle elaborazioni di squakwa.com.

Da dodici anni il Real non vince la Champions e la decima inizia ad essere un ossessione. Negli tre anni precedenti Josè Mourinho era stato identificato come l’uomo in grado di liberare i madridisti dall’assillo, ma così non è stato. È quindi il turno di Carlo Ancelotti. Il Real arriva fino ai quarti agevolmente, poi incrocia il Borussia Dortmund. Una brutta bestia che già li ha eliminati l’anno prima. Tre a zero all’andata al Santiago Bernabeu per i bianchi. Discorso chiuso? Manco per sogno. Al ritorno, dopo metà partita, il Borussia vince già due a zero. Nella ripresa mette il Real alle corde e sfiora più volte il terzo gol, ma non passa. Siamo alla semifinale: Real Madrid contro Bayern Monaco, campione in carica, favorita per il titolo, la squadra di Pep Guardiola. Questo è il capolavoro di Ancelotti. Il Real consente al Bayern di controllare il gioco, pressa ma solo nella propria metà campo, e quando conquista palla riparte immediatamente con effetti devastanti. Finisce uno a zero, ma è pure stretto. Al ritorno un Bayern frastornato, e probabilmente già sconfitto prima ancora di scendere in campo, ne prende quattro di fronte al proprio pubblico.

COME SI PRESENTANO

Si è scritto molto, in merito a questa edizione della Champions, di fine del tiki taka e del gioco offensivo, di vittoria del contrattacco. Forse è esagerato. Questo commento a mio parere è illuminante al riguardo. In breve questa stagione ha segnato una normalizzazione. Negli ultimi anni, agli eccessi offensivi del Barcellona di Guardiola si è risposto con gli eccessivi difensivi dell’Inter di Mourinho e del Chelsea di Di Matteo. Tutto buono e lecito, da una parte e dall’altra. Ora si è giunti ad un nuovo equilibrio, precario come tutti, che fa propri gli insegnamenti degli ultimi anni e li razionalizza. Tesi, antitesi e sintesi. La transizione da difesa ad attacco diventa centrale. Il possesso palla non è necessariamente una chiave del successo. Il pressing è attuato in una zona avanzata o meno del campo in base al contesto ed al momento.

Il Real Madrid comunque non è una squadra che aspetta in copertura, generalmente. E di solito mantiene il possesso della palla più degli avversari, ma senza fanatismi. Dopo un avvio di stagione incerto, nel corso dell’inverno Ancelotti intuisce la disposizione ideale per i suoi uomini. È un 4-3-3. I centrali in difesa sono Pepe, molto cresciuto, e Sergio Ramos. Pepe non gioca però la finale per infortunio. I laterali sono Carvajal, o Arbeloa, ed a sinistra Marcelo, o Fabio Coentrao. I tre di centrocampo costituiscono l’autentica miniera d’oro della squadra. Xabi Alonso è la cerniera fra difesa ed attacco. È squalificato per la finale, assenza non da poco. Poi ci sono Modric e Di Maria, grandi nel recuperare palloni, nel gestirli, e nel lanciare i velocissimi attaccanti. Di Maria è un vero crack per il Real. Nel complesso chiude l’annata con 22 assist (dati whoscored.com). In attacco Cristiano Ronaldo e Bale affiancano Benzema, centrale. Cristiano Ronaldo segnerà diciassette gol in questa Champions, record di sempre. Ecco come scende in campo la sera del 24 maggio:

Nell’anno in cui il Real vinse l’ultimo titolo europeo, il 2002, l’Atletico Madrid era in Segunda Division da due stagioni. Iniziava una lenta risalita che l’avrebbe portato a vincere due Europa League (2010 e 2012) ed una Coppa del Re (2013). Gli ultimi due trofei portano già la firma di Simeone. Quasi ogni anno, per far quadrare il bilancio, sono stati però costretti a vendere un pezzo grosso: Torres, De Gea, Aguero, Falcao.

Il modulo della squadra cambia diverse volte, ma è essenzialmente un 4-4-2, molto solido, corto e coeso. Difesa ferrea e squadra davvero pericolosa sui calci da fermo. In porta c’è il giovane belga Courtois, da quest’anno considerato fra i migliori interpreti al mondo nel ruolo. I centrocampisti si comportano quasi come quattro centrali e si sacrificano molto in copertura. Al centro insieme a Gabi a volte c’è Suarez; più spesso c’è Tiago, ex Juve, che pensavamo fosse un pippone, ma più probabilmente lo erano allenatori e dirigenti bianconeri dell’epoca. Sugli esterni troviamo Koke e Arda Turan, oppure Raul Garcia, o Adrian, giocatori utilizzati anche come seconda punta. Gli esterni si scambiano le fasce e si accentrano spesso, lo si vedrà anche nel corso della finale. Raul Garcia, Gabi e Koke, insieme a tutti i difensori, sono autori di una stagione straordinaria. In attacco Diego Costa è la rivelazione della stagione, capocannoniere della squadra in campionato (27 reti) e coppa (8 reti). Devastante nella prima metà dell’anno calcistico, poi in calo. Il partner in attacco cambia sovente, così come sovente il secondo attaccante gioca più arretrato. In finale troviamo Villa che, complice l’infortunio del compagno, ha il compito di prima punta.

Arda Turan è infortunato. Diego Costa, in dubbio sino a poche ore prima dell’incontro, gioca solo otto minuti ed obbliga Simeonoe a sostituirlo con Adrian. Per cui l’Atletico in finale è questo:

LA PARTITA

Nel primo tempo l’Atletico tiene il campo con apparente sicurezza. Il Real pare invece imballato. Da un raro errore del centrocampo biancorosso nasce la migliore occasione da gol per il Real. Bale recupera la palla, fa tutto bene ma sbaglia al momento del tiro. Gol sbagliato, gol subito allora. Corner dei neo campioni di Spagna, ribattuto, palla di nuovo in mezzo e grosso quanto inatteso errore di Casillas, che esce a vuoto. L’innocuo colpo di testa a palombella di Godin si infila in rete. Uno a zero per l’Atletico.

Nella ripresa l’Atletico sembra controllare agevolmente l’incontro, sebbene non crei pericoli alla porta avversaria. Il Real è Di Maria e Sergio Ramos, e poco altro. Bale ha il pregio di provarci più volte. In un’occasione si sistema il pallone con la mano in area: infrazione sanzionata, la faccia di Ancelotti esprime disappunto, per usare un eufemismo. Cristiano Ronaldo è in scarse condizioni. Poi però l’Atletico Madrid cede di schianto nell’ultimo quarto di gara. Ancelotti butta dentro Isco per Khedira e Marcelo per Coentrao, e sono cambi decisivi. Un intervento di Juanfran su Marcelo è probabilmente da rigore.

A due minuti dalla fine del recupero, c’è un angolo per il Real. Lo calcia Modric, Sergio Ramos svetta di testa splendidamente ed infila Courtois in basso, alla sua destra. Pareggio, incredibile. Era l’ultima possibilità. Questione di forza, angoli, posizione, secondi. Certo, il Real l’ha costruito dominando l’ultima fase dell’incontro. O se vogliamo l’ha costruito con il lavoro di tutto l’anno. Però: qualche grado di impatto in più, qualche centimetro in area più in là, e l’Atletico era campione. Dirà Ancelotti dopo l’incontro: l’Atletico non poteva pensare di vincere senza fare un tiro in porta. E invece aveva quasi vinto.

Carlo Ancelotti - fonte commons.wikimedia.org

Carlo Ancelotti – fonte commons.wikimedia.org

Al gol mi viene subito in mente la finale degli europei 2000. Come tutti, penso: è finita. E infatti i supplementari sono giusto una formalità. L’Atletico regge ancora un tempo, poi capitola e prende altri tre gol, il primo dei quali generato da una grande iniziativa di De Maria.

Quattro a uno per il Real. Qui il tabellino, più statistiche da sbizzarrirsi.

MORALE DELLA FAVOLA

Intanto, Milano è rimasta ancora l’unica città a vantare due squadre campioni d’Europa. Un primato che resiste addirittura da cinquant’anni. Piccola soddisfazione, se può interessare. Per quanto ancora? È un po’ difficile che Madrid abbia a breve un’altra occasione. Le insidie possono arrivare da oltremanica. Londra, forse, o più di tutto Manchester, la città che da quattro anni domina la Premier League con due squadre.

Ancelotti vince la sua terza Coppa dei Campioni da allenatore. Come Paisley, ma è il solo ad averlo fatto con due squadre diverse. Il Real porta a casa la sua ossessione. I soldi nel calcio non sono tutto, ma parecchio. Ha deciso molto il peso delle rispettive panchine. Ancelotti aveva due titolari fuori. Uno dei due, Xabi Alonso, non l’ha rimpiazzato a dovere. Ha avuto la possibilità di una scelta ulteriore di peso, Isco, oltre agli altri cambi. Particolarmente azzeccato è stato anche l’ingresso di Marcelo. Non è mai semplice. Ancelotti ha dimostrato tutte le sue capacità, ma quando hai nel mazzo parecchi assi tra cui pescare, diciamo che è un po’ meno difficile.

L’Atletico è crollato a due passi dal traguardo tipo Dorando Petri. Così era successo quarant’anni prima, quando allo scadere del secondo supplementare un tiro da fuori di Schwarzenbeck aveva portato il Bayern al pareggio. Nella ripetizione non ci fu storia, come dopo il gol di Sergio Ramos. Anche tra le fila dell’Atletico ci sono state due assenze pesanti, ma i sostituti, ed in aggiunta i sostituti dei sostituti, hanno retto sino ad un certo punto. A tre quarti di partita la luce si è spenta. Ha pesato anche il logorio di una massacrante stagione sopra un organico non ampio come quello del Real e sicuramente non costruito per gli stessi obiettivi. Se Diego Costa non fosse sceso in campo la squadra avrebbe guadagnato in forze, grazie ad un cambio in più? Forse, ma col senno di poi…

È fallito così il tentativo di sovversione contro gli odiati, calcisticamente parlando, e potenti concittadini. Di sicuro la sconfitta in un derby più pesante di sempre. Ma onore comunque ad un grande Atletico Madrid.

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